Nuovo stop doganale: questa volta è Till, l’alemanno organizzato e proprietario del fiorino, che non puó mettere piede fuori d’Europa.
Il passaporto scadeva un mese fà.
Cosí con un po' di tentennamenti io e Lidia decidiamo di scendere lo stesso. La cosa alletta molto meno.
Ci troviamo a dover far fronte per una settimana a ricerca di ostelli e orari di autobus con lo zaino caricato lí per lí di viveri pirateggiati dalla cassa-cucina della macchina, prima che la nave se la porti via.
Perdipiù non c’è tanto tempo per trovare un autobus che ci porti fuori dall’inferno di Tanger, così decidiamo che stanotte ci si ferma qui.
Adiós Till! –dal molo- te llevaremos algo desde aquí..¡buen viaje!
Che faccia triste che c’ha! la stessa incredula tristezza che avevo io due anni fà.
Ah, dimenticavo: l’altro ieri avevo la febbre, ancora non mi sono ripigliato completamente e scarico pinte di moccio alla spina dalle narici.
Lidia? Pensierosa, forse più per quello che dovrá raccontare ai genitori, che per l timore dei pirati berberi. Con Till ci siamo persi anche quelle forchettate di praticitá del viaggiatore nordico. Speriamo di essere all’altezza.
Nell’estate 2000 avevo progettato un viaggio in marocco che si concluse con una vista del porto di Tanger dalla nave da dove i doganieri non mi fecero scendere. Quell’anno mi feci un giro per la Spagna, con il vocabolario di francese nello zaino.
Due anni dopo, quest’anno, vivo a Cordoba, a un passo dall’africa; sarei partito anche da solo a nuoto per vedere l’altro continente.
Invece a Cordoba ho trovato 3 compagni di viaggio, Till, Lidia e un Fiorino.
Forse sarebbe meglio dire che Till ha trovato due ospiti per il SUO fiorino, arrivato direttamente da Berlino, e attrezzato per trasformarsi in un confortevole hostal, una volta tirato il freno a mano.
Cosí si parte con sacchi a pelo, fornelli, scatolame, un frigorifero elettrico, un po’ di raffreddore, una chitarra, la guida Lonely Planet che avevo due anni fa e una mappa stradale Michelin che mi sono comprato e che ho contemplato pensieroso per due settimane cercando di ipotizzare quanti di quei centimetri di strade rosse, gialle e bianche si potessero fare al giorno.
Questo diario di bordo l’ho scritto piú o meno in tempo reale durante il viaggio, nelle pause per un té, sorseggiando un caffelatte mentre Till spalma la nutella sul pane tostato o in macchina cercando di assecondare gli effetti centrifugi delle curve nelle strade dell’Atlante.
Attraverso montagne e foreste nella regione di Chiang Mai con tre motociclette e tre amache
Fra noi e la città di Chiang Mai ormai ci sono solo statali e highway d'asfalto, ma guardando la cartina salta all'occhio lungo il tragitto verso sud la mole del Doi Chiang Dao (doi=montagna) che svetta oltre i duemila metri con il suo manto di foreste e spiritualità. Decidiamo di tentarne l'ascesa per coronare con gloria il nostro circuito e al tempo stesso pompare un po' d'aria dentro i polmoni e godersi la quiete della montagna dopo quattro giorni di vibrazioni a cavalcioni dei nostri destrieri. Del sentiero che percorre il Doi Chiang Dao non sappiamo nient'altro che la sua esistenza, bisognerà prodigarsi nell'arte di chiedere informazioni.
Intanto lungo la strada che conduce al paese di Chiang Dao alle pendici della montagna la celebrazione del Songkran impazza con potenza quadruplicata: ora gli schizzi, le secchiate e i getti d'acqua arrivano dai pick-up in marcia oltre che dal ciglio della strada. In corrispondenza dei ponti l'amministrazione ha allestito persino delle impalcature di tubature che generano una pioggia continua sul passante.
Durante il pranzo, secchi alla mano, anche noi prendiamo parte alle celebrazioni ricaricando il nostro armamento in un bidone pieno d'acqua dove galleggia un blocco di ghiaccio grosso come un televisore; per un Songkran come si deve l'acqua deve essere gelida! Mentre cerchiamo di raccogliere informazioni a destra e a manca facciamo una breve visita ai 700m di grotta che ospita tra stalattiti e forme calcaree molteplici buddha, dorati o scolpiti nella roccia, seduti o sdraiati. Seguendo alcune indicazioni sommarie imbocchiamo con le nostre moto una stradina che si arrotola su per i pendii della montagna la cui vetta di tanto in tanto emerge dalla nebbia. Abbiamo guadagnato quota e, con un po' di intuizione parcheggiamo i veicoli in uno spiazzo in corrispondenza di un passo. Da qua un sentiero ben marcato si inoltra nella boscaglia, confidiamo conduca alla cima.
Sudando come dei prosciutti al sole raggiungiamo una sella, improvvisamente il crepitare dei tronchi in fiamme sembra vicinissimo, ma è solo un illusione acustica. Procediamo attraversando boschetti di banani, foreste di bamboo e piccoli spiazzi erbosi, qua e là le chiazze nerastre della vegetazione bruciata.
Un frusciare improvviso tra le foglie ci fa saltare come tre gatti, la sagoma grigio-verde do un grosso serpente sparisce allontanandosi tra le piante, la prima bestia che manifesta la sua esistenza, ma dove sono tutti gli animai, in vacanza?! Comunque io mi sono già munito di bastone di bamboo con cui percuoto ogni due passi il suolo a scopo intimidatorio. Se messi alle strette c'è sempre Andreas munito di machete pronto per un corpo a corpo con l'eventuale rettile.
È pomeriggio inoltrato e la cima ancora lontana ci guarda dall'alto irridente tra nuvole e foschia. Battiamo in ritirata senza la gloria della vetta.
Passiamo l'ultima notte all'insegna del lusso al Chiang Dao House regalandoci una doccia, un letto su cui dormire e tre birre Shinga; 4 giorni e 300 km di sgasate, frenate e secchiate d'acqua vanno coronti con un brindisi.
P.S. Il giorno successivo faremo ingresso in una Chiang Mai febbricitante per la celebrazione del Songkran. Dalla veranda di un bar osserviamo il brulicare della folla che si accalca sulle rive del fossato che circonda le antiche mura in un'esplosione di schizzi, musica e risate che non avevo mai visto. Non ci facciamo pregare troppo, compriamo tre secchi e ci gettiamo nella mischia giocando come bambini fino al tramonto. Ma questa è un'altra storia!