venerdì 30 aprile 2010

Motor-trekking in Thailand (part 4)

Attraverso montagne e foreste nella regione di Chiang Mai con tre motociclette e tre amache

Fra noi e la città di Chiang Mai ormai ci sono solo statali e highway d'asfalto, ma guardando la cartina salta all'occhio lungo il tragitto verso sud la mole del Doi Chiang Dao (doi=montagna) che svetta oltre i duemila metri con il suo manto di foreste e spiritualità.
Decidiamo di tentarne l'ascesa per coronare con gloria il nostro circuito e al tempo stesso pompare un po' d'aria dentro i polmoni e godersi la quiete della montagna dopo quattro giorni di vibrazioni a cavalcioni dei nostri destrieri.
Del sentiero che percorre il Doi Chiang Dao non sappiamo nient'altro che la sua esistenza, bisognerà prodigarsi nell'arte di chiedere informazioni.

Intanto lungo la strada che conduce al paese di Chiang Dao alle pendici della montagna la celebrazione del Songkran impazza con potenza quadruplicata: ora gli schizzi, le secchiate e i getti d'acqua arrivano dai pick-up in marcia oltre che dal ciglio della strada.
In corrispondenza dei ponti l'amministrazione ha allestito persino delle impalcature di tubature che generano una pioggia continua sul passante.

Durante il pranzo, secchi alla mano, anche noi prendiamo parte alle celebrazioni ricaricando il nostro armamento in un bidone pieno d'acqua dove galleggia un blocco di ghiaccio grosso come un televisore; per un Songkran come si deve l'acqua deve essere gelida!
Mentre cerchiamo di raccogliere informazioni a destra e a manca facciamo una breve visita ai 700m di grotta che ospita tra stalattiti e forme calcaree molteplici buddha, dorati o scolpiti nella roccia, seduti o sdraiati.
Seguendo alcune indicazioni sommarie imbocchiamo con le nostre moto una stradina che si arrotola su per i pendii della montagna la cui vetta di tanto in tanto emerge dalla nebbia.
Abbiamo guadagnato quota e, con un po' di intuizione parcheggiamo i veicoli in uno spiazzo in corrispondenza di un passo. Da qua un sentiero ben marcato si inoltra nella boscaglia, confidiamo conduca alla cima.

Sudando come dei prosciutti al sole raggiungiamo una sella, improvvisamente il crepitare dei tronchi in fiamme sembra vicinissimo, ma è solo un illusione acustica.
Procediamo attraversando boschetti di banani, foreste di bamboo e piccoli spiazzi erbosi, qua e là le chiazze nerastre della vegetazione bruciata.

Un frusciare improvviso tra le foglie ci fa saltare come tre gatti, la sagoma grigio-verde do un grosso serpente sparisce allontanandosi tra le piante, la prima bestia che manifesta la sua esistenza, ma dove sono tutti gli animai, in vacanza?!
Comunque io mi sono già munito di bastone di bamboo con cui percuoto ogni due passi il suolo a scopo intimidatorio. Se messi alle strette c'è sempre Andreas munito di machete pronto per un corpo a corpo con l'eventuale rettile.

È pomeriggio inoltrato e la cima ancora lontana ci guarda dall'alto irridente tra nuvole e foschia.
Battiamo in ritirata senza la gloria della vetta.

Passiamo l'ultima notte all'insegna del lusso al Chiang Dao House regalandoci una doccia, un letto su cui dormire e tre birre Shinga; 4 giorni e 300 km di sgasate, frenate e secchiate d'acqua vanno coronti con un brindisi.

Savati Pi Mai!*
(*Happy new year)


Motor-trekking in Chiang Mai, Thailand from fustaki on Vimeo.



P.S.
Il giorno successivo faremo ingresso in una Chiang Mai febbricitante per la celebrazione del Songkran. Dalla veranda di un bar osserviamo il brulicare della folla che si accalca sulle rive del fossato che circonda le antiche mura in un'esplosione di schizzi, musica e risate che non avevo mai visto.
Non ci facciamo pregare troppo, compriamo tre secchi e ci gettiamo nella mischia giocando come bambini fino al tramonto. Ma questa è un'altra storia!

mercoledì 28 aprile 2010

Motor-trekking in Thailand (part 3)

Attraverso montagne e foreste nella regione di Chiang Mai con tre motociclette e tre amache

È di nuovo asfalto. Su è giù per i crinali avvolti dalla nebbia e dal fumo (si chiama smog, no?) tirando le marce e giocando a sorpassarci (a destra).
Siamo ufficialmente entrati nella settimana di celebrazione del Songkran, la festa dell'acqua, che coincide con il nuovo anno tailandese (2553) e la fine della stagione secca.
Le piogge tarderanno ancora un mese ad arrivare, ma per adesso ci sono le secchiate d'acqua dei bambini all'entrata e all'uscita dei villaggi.
Ti vedono arrivare a cavallo della moto e ti sbarrano la strada ridendo come dei cuccioli di iena. Armati come sono di secchi, tubi, pistole e fucili d'acqua è impossibile rimanere asciutti (almeno per quattro minuti perchè il vento caldo è come un asciugacapelli sempre acceso). Ovviamente durante le soste prendiamo anche noi parte alla battaglia idrica che coinvolge grandi e piccini, uomini e donne, tutti felicissimi di bagnare e farsi bagnare.

Per pranzo ci fermiamo nella cittadina di Pai, la sorellina hippie di Chiang Mai, con la sua fauna occidentale di tatuati, spiritualisti, santoni, punk, vegetariani, giramondo, poeti, scrittori e giocolieri. Molti di loro armati anch'essi di fucili ad acqua colorati.
In questo clima carnevalesco il nostro look da cowboy impolverato non stona troppo. La fedele motocicletta appoggiata alla staccionata come un destriero e il casco a scacchi come Jack Nicholson in Easy Rider.

Approfittiamo dello strategico pad thai di mezzogiorno per riorganizzare i piani di viaggio; l'idea è quella di dirigerci al nord e poi valicare le montagne a est, ma la nostra unica mappa della zona indica solo una carrozzabile che corre arditamente lungo il confine con la Birmania (Myanmar) e un' altra incerta linea tratteggiata che si perde nel nulla.
Ma dato che siamo nel terzo millennio in piena rivoluzione dell'informazione ci sediamo tutti e tre davanti a un computer nell'internet point dall'altra parte della strada e diamo un' occhiata a Google Maps...
Bingo! Stampiamo un ingrandimento con il tracciato del valico che cercavamo. Ovviamente Google usa un criterio diverso per la traslitterazione dei nomi delle località, ma ormai siamo ferrati.
Un calcio al pedale d'avviamento e siamo di nuovo in sella. Dopo qualche kilometro nella ridente (e umidificante) campagna intorno a Pai (che sembra un po' la Contea di Hobbeville con i piccoli hobbit col secchio colorato che ululano euforici) ricomincia lo sterrato, ed è tutt'altro che rilassante.
Solcati camuffati da sabbiati si alternano a vertiginose doppie corsie di cemento. Andreas in un momento di distrazione perde il controllo del ciclomotore ed è costretto a saltare fuori bordo rovinando a terra.

Con lo sguardo sempre fisso sui cinque metri davanti alla ruota anteriore (qualche tipo di occhiale per riparare la vista è strettamente necessario altrimenti dopo dieci minuti ti si forma intorno agli occhi un piccolo ecosistema di sabbia, moscerini e ceneri, per non parlare della fronda che occasionalmente pende sulla strada) giungiamo al primo e unico villaggio prima del valico.
Una squadra di cadetti monaci buddisti sta lavando i panni lungo il fiume e ne approfitta per trovare refrigerio dalla calura del pomeriggio; seguendo il loro esempio anche un folto gruppo di bufali se la gode con il corpo a mollo.
Altro pad thai in questo villaggio che sembra sorgere ai confini del mondo e la ragazza della locanda ci conferma che stiamo seguendo la rotta giusta.

Accendiamo i motori, clack, un colpetto col piede sinistro per ingranare la prima e riprendiamo la marcia lungo la sterrata che ora abbandona la valle e si inerpica sulle alture a est.
Tratti piacevoli all'ombra della vegetazione si alternano a strappi in salita che fanno ululare le moto sotto il sellino. Un repentino sabbiato in forte pendenza coglie i tre alla sprovvista, la moto di Andreas si incaglia irrimediabilmente, quella di Hauke si adagia stremata su un fianco, mentre io riesco a schivare la trappola e a portare la mia moto in cima alla china. In tre, due che spingono e uno in sella, riusciamo a riportare tutti i veicoli in salvo.

Non siamo lontani dal confine birmano e da dietro una curva spunta all'improvviso un 4x4 carico di soldati tailandesi in mimetica; ci fanno segno di passare.

Lo slash & burn è tutto intorno a noi, si sentono gli schiocchi sordi dei bamboo in fiamme e il crepitio dei fuocherelli che lambiscono la carreggiata. Il fumo rende l'aria pesante irritando gli occhi e la gola; così, raggiunto il valico e l'ultimo check-point militare, siamo lieti di sfrecciare a valle sull'altro versante.
Dopo delicate discese con i freni tirati, i nervi saldi e gli occhi fissi sulla strada ci ritroviamo a valle sui rettilinei che costeggiano i campi; ma come sempre il tardo pomeriggio abbassa il livello di concentrazione, lo sguardo cade su un rospo che saltella sul ciglio del canneto e in un attimo la ruota anteriore se ne va e non mi resta altro da fare che saltare fuori bordo.

Con la signora di una guesthouse giù in paese concordiamo un prezzo per poter appendere le nostre amache nella veranda - magazzino; sprofondiamo nel sonno sotto le note della musica pop tailandese che giunge dalle balere lungo la strada. Domani è il 2553!

lunedì 26 aprile 2010

Motor-trekking in Thailand (part 2)

Attraverso montagne e foreste nella regione di Chiang Mai con tre motociclette e tre amache

Alla faccia del clima tropicale! Questa notte si è alzato un vento che faceva ondeggiare l'amaca come una barchetta e che mi ha costretto a sfoderare il kit d'abbigliamento al completo (felpa + asciugamano da spiaggia tirato sopra). Comunque un'ora dopo siamo di nuovo in maglietta sulle nostre moto.
L'asfalto ci fa procedere veloci tra saliscendi, valli tappezzate di campi coltivati, villaggi e tratti di foresta.
Metà aprile, siamo al termine della stagione secca che precede l'arrivo del monsone e grazie a libri, siti web e amici siamo già al corrente della pratica e delle conseguenze dello slash & burn, la secolare tradizione di bruciare la foresta.
Intorno a noi, già da ieri, è un susseguirsi di piccoli focolai che annientano il sottobosco, occasionalmente provocano la caduta di qualche albero, ma soprattutto mantengono l'intera regione (l'intera Tailandia settentrionale, ma anche nelle vicine Laos e Myanmar è diffusa, così come in Africa e Sudamerica) avvolta in una perenna nebbia fumosa. Dove lo sguardo potrebbe spaziare il verde della foresta degrada rapidamente in una grigia foschi, in lontananza si distinguono le colonne scure di fumo e si ascolta lo scoppiettio della vegetazione che arde. Spesso l' incendio lambisce docilmente il ciglio della strada che agisce come un cortafuego.
Questa atavica e antichissima sfida dell'uomo che cerca di appropriarsi come può dello spazio che la foresta non gli concede è una pratica ancora viva nell'Asia del terzo millennio. Da una parte l' amministrazione pubblica cerca di scoraggiare lo slash & burn attraverso propaganda e cartelli di monito, dall'altra organizzazioni internazionali e progetti di ricerca cercano soluzioni sostenibili da proporre come alternativa, ma non sarà facile trovare un' uscita. A chi vuole saperne di più passo questo link.

A mezzogiorno, dopo aver fatto rifornimento presso una rudimentale quanto efficace pompa di benzina, ci ritroviamo a tentennare cartine alla mano tra stradine che costeggiano le coltivazioni e cartelli che indicano località inesistenti sulle nostre mappe. Ma è proprio dai campi che giunge l'aiuto provvidenziale di un anziano che sembra capire dove vogliamo andare (inutile indicare punti sulla mappa, non la degnano di uno sguardo, il loro riferimento è sempre l'ambiente che li circonda e che ai loro occhi non può essere trasferito su un pezzo di carta) e ci indica -di là- sorridendo.
L'asfalto torna a essere sterrato, la terra compatta si alterna a spianate di polvere e sabbia rossa. Per far sbollire i motori ci fermiamo nella locanda di un villaggio che nella canicola di mezzogiorno ha l'aspetto di un crocevia del Far West.
Di nuovo in sella, e per tutto il pomeriggio sarà un susseguirsi di dirt roads. È quindi doveroso a questo punto presentare un breve sommario delle tipologie di terreno che ci sono passate sotto le ruote.



Breviario degli sterrati.

L'universale canonico. Trattasi del più classico e comune degli sterrati. Lo puoi trovare nell'entroterra romagnolo come in una forestale dolomitica, nei pressi di un casolare nel Salento come nel vigneto della Maremma, nelle Pampas argentine, a Honolulu e probabilmente anche su un pianeta di Alfa Centauri. Insomma, parliamo della tipica carrozzabile di brecciato; se non sai tenere in piedi la moto quà sopra prendila come un segnale: torna sull'asfalto o prosegui a piedi!

L'ondulato. Il manto apparentemente liscio rivela possedere un profilo a piccole cunette. Un po' come quando sulla pista da sci è passato il gatto delle nevi. Non nasconde particolari insidie ma quando le vibrazioni entrano in risonanza aggrappate al manubrio le dita ti cominciano a saltellare come dei bastoncini findus nella friggitrice. Normalmente preso alla sprovvista tiri un po' il freno e aspetti che il supplizio finisca.

Il borchiato. Allo sterrato canonico aggiungiamo dei sassoni incastonati nel sottosuolo che come degli iceberg lasciano emergere delle porzioni di pietra di forma tetraedrica più o meno levigata.
Il pneumatico generalmente non gradisce che la minerale protuberanza intralci il suo libero rotolare e di solito risponde con uno stizzito scarto laterale.

Il solcato
. Un tratto fangoso dello sterrato è stato segnato dal passaggio di ciclomotori. Il fango durante la stagione secca si solidifica trasformando la carreggiata in un intricarsi di binari nei quali è facile entrare ed è difficile uscire. La moto comincia a saltellare come una cavalletta epilettica e devi sperare che l'incubo si esaurisca in una decina di metri per scongiurare il definitivo disarcionamento.

Il sabbiato. A colpo d'occhio può sembrare un solcato e ti metti in guardia decelerando ma invece di toccare terra dura la ruota anteriore va alla deriva in una buca sabbiosa; quando anche la ruota posteriore entra nella trappola seguono il rombo del motore che sale di giri e una corona di polvere che si solleva dietro di te. I sabbiati più insidiosi con la ruota che sprofonda fino al mozzo ci hanno visti costretti ad estrarre il veicolo dal bunker spingendo a quattro mani e sgasando come bulli del quartiere.

La doppia striscia di cemento. I tratti di pendenza eccezionale su terreno instabile sono stati saltuariamente dotati di due corsie di cemento parallele per le due coppie di ruote di un auto. Con il tempo l'acqua ha scavato un baratro nel mezzo che ti impedisce di portare la moto da una all'altra. Aggiungiamo l'ampiezza ridotta della striscia e la forte pendenza e otteneniamo una prova di equilibrismo e nervi saldi.

Nel tardo pomeriggio, quando l'attenzione perde il mordente, un solcato meticcio con venatura di sabbiato mi fa saltare fuori dalla moto che crolla di lato come un cavallo abbattutto. Mi spolvero i pantaloni con due manate e un' imprecazione e mi rimetto in sella.

Arriviamo in un villaggio più grande degli altri provati, affamati e indecisi sul da farsi. Cenare? Accamparsi? Dalla veranda una donna ci ascolta e si propone di cucinarci qualcosa. E così Hauke va al mercato con lei a fare provviste, mentre io e Andreas facciamo la conoscenza di tutta la famiglia allargata. Figli, zii, nipoti, il nonno, due cani, la gatta e un maiale che razzola sotto la veranda. La comunicazione è elementare e frammentaria
-Where you come from?
-Italy
-Milan!
-I live in Barcelona
-Leo Messi!
Parliamo del thai-box e dei nostri rispettivi lavori, della chiesa cristiana che sta dietro la collina (oggi è domenica e si sente lo scampanare) e del fatto che nessuno di noi tre è sposato.
Dopo il pad thai familiare ringraziamo e ci rimettiamo in marcia in cerca di un sito propizio per il nostro campo, ma lo slash & burn imperversa ovunque e non vogliamo appendere le amache sopra le braci, ne tantomeno sopra un terreno che cominci a bruciacchiare durante la notte.
A corto di opzioni chediamo il permesso di accamparci nel giardino di un resort. -Dove volete- ci dice il gestore, e ci mette a disposizione pure una doccia. Che lusso.

lunedì 19 aprile 2010

Motor-trekking in Thailand (part 1)


Attraverso montagne e foreste nella regione di Chiang Mai con tre motociclette e tre amache

Eccolo che arriva. Io e Hauke cominciavamo
già a perdere le speranze di vederlo di nuovo e invece Andreas con una sgommata parcheggia lo scooter davanti al Writer's Club bar nel centro di Chiang Mai e si siede al nostro tavolo sfoderando il suo miglior sorriso.
Ci eravamo dati un appuntamento per il giorno anteriore e gli raccontiamo di come il nostro autobus per Bangkok è andato in panne nel cuore della notte e delle interminabili ore di attesa sul ciglio della strada e del treno notturno e del nostro arrivo nella calura del mezzogiorno di Chiang Mai, la capitale della Tailandia del nord.
Cominciamo a proporre idee e a sfoderare piani per la nostra imminente spedizione verso la selva montana che si estende a est e a nord verso i confini con la Birmania e una lista di priorità è presto stilata.

1. Trovare una stanza in una guesthouse del centro, mollare gli zaini e farsi una doccia dopo 40 ore di viaggio tra autobus e treno.
2. Munirsi di motocicletta. Andreas ci assicura che è il mezzo più comodo per muoversi tanto nella città come per i monti qua intorno.
3. Trovare le mappe con le strade, le mulattiere e i sentieri della regione intorno a Chiang Mai dove i campi e le risaie lasciano spazio alle montagne ricoperte dalla selva.

Presto fatto, in meno di un'ora siamo in sella alle nostre Honda 125cc 4 marce che si riveleranno poi essere dei muletti indomiti e inarrestabili; ci dirigiamo verso un grande emporio del libro dove ad aspettarci ci sono quattro scaffali di mappe e carte stradali. Comincia già quella che sarà per i prossimi giorni la nostra battaglia quotidiana: orientarsi con le mappe tailandesi. Ma di questo parlerò in seguito.
Ce ne andiamo con tre carte a scale diverse (io ne sono fin dall'inizio in via ufficiosa il custode) che purtroppo concordano solo in minima parte sulla denominazione di villaggi, cime e fiumi (la più nuova è del 2006, la più vecchia del 1992) e che verranno aperte, piegate, sgualcite e rigirate per tutto il viaggio.

Ancora equipaggiamento, ci fermiamo in un grande magazzino di materiale da caccia e outdoor per fornirci dell'essenziale amaca con rete anti-zanzare incorporata; sembra chiaro che l'attenzione vada rivolta più che agli agenti atmosferici (freddo e pioggia) agli agenti con sei o più zampe.
L'artefatto una volta montato è un incrocio tra un bozzolo di bruco da seta e una capsula per viaggi interstellari.
Corde e lacci per fissare gli zaini sui portapacchi, occhiali da sole e qualche strato termico per chi ne era sprovvisto e Andreas decide pure che dobbiamo dotarci di machete, la mezza sciabola per falciare la vegetazione, se è così famoso ci sarà un motivo, no?
Rituale pad thai chicken (noodles saltati con verdure e pollo, piatto onnipresente nella cucina tailandese) in un baretto del quartiere e poi andiamo a dormire.

10 Aprile

Dopo un paio di inversioni di marcia sulla tangenziale di Chiang Mai (occhio alle inversioni a U con la guida a sinistra!) i nostri bolidi ora sfrecciano sulla statale 108 diretti a sud ovest verso le falde del Doi Inthanon, che pur essendo di altezza modesta (poco più di 2500 m) è pur sempre la cima più alta del Regno.
Prima di abbandonare la canicola della pianura assolata, dei paesi e dei campi coltivati ed entrare tra le montagne facciamo un'ultima sosta di precauzione per rifocillarci (da qui in avanti la nostra dieta sarà sempre a base di noodles o riso, in brodo o saltato, con uova strapazzate e a volte pollo e l'immancabile vasta gamma di salse e spezie che vanno dal velatamente al brutalmente piccante). Interpelliamo un avventore al tavolo per quanto riguarda la presenza di stazioni di rifornimento lungo la strada che si inoltra tra le montagne e la questione desta rapidamente l'interesse di un'intera squadra di calcetto del tavolo adiacente. Nonostante il nostro gesticolare e il fioccare di termini gas, petrol station, fuel sembra regnare l'incomprensione. Stando al verdetto del coach della squadra dovrebbe esserci un benzinaio più avanti (15 km? 50 km? non è chiaro). Per sicurezza facciamo un altro pieno.
A posteriori: il rifornimento non è mai stato un problema, in quattro giorni percorreremo sterrate che sono state fatte perchè ci sono automezzi che le percorrono e che hanno bisogno di benzina.
La strada serpeggia guadagnando quota e i campi lasciano spazio alle foreste. Entriamo nel parco del Doi Inthanon pagando un ingresso da studenti grazie all'arte oratoria di Andreas.
Dopo una sosta rinfrescante in una pozza del fiume tracciamo una bozza di itinerario che passa per le valli e i villaggi alle falde della montagna spingendosi a nord.
Di nuovo in sella, lasciamo l'asfalto per dare inizio al nostro off-road e alla grande prova di orienteering che ci aspetta.

Con le tre mappe alla mano e i cartelli di varie epoche e fattezze che troviamo ai bivi e agli incroci il problema principale è dato da lato dalla differente traslitterazione della scrittura thai ai caratteri latini dall'altro all'estrema somiglianza (o vari casi omonimia) dei nomi delle località formati dalla combinazione di due termini monosillabi.
Alcuni nomi di villaggi: Khung Wang, Mae Hae, Huai Khao, Mae Khao, Huai Thang, Khun Klang, etc.
Quindi ad ogni bivio è tutto una scartabellare di mappe in cerca di nomi, riferimenti, indizi, non ultimi fiumi e rilievi, valli o ponti per accumulare consenso sulla scelta della strada di sinistra o di destra.
In un paio d'occasioni otteniamo un match esatto dei caratteri thai incisi sul cartello e la stampa in thai riportata tra le pieghe della mappa tipografica. Piccoli trionfi.

Nonostante ciò dopo un paio d'ore di sterrato e un paio di retromarce la mulattiera degrada rapidamente allo stato di sentiero. Ci ritroviamo a sgasare in prima tra sassi e piccoli guadi con i motori che stridono e i dubbi che crescono. Per fortuna regna il positive-thinking e dopo una mezz'ora di lento procedere la ruota anteriore tocca di nuovo la superfice levigada di una strada a lastroni di cemento.
Sfrecciamo lungo crinali con il motore che può di nuovo cantare verso il villaggio che ci eravamo prefissati come meta per il nostro primo giorno in sella.
Andreas trasporta con sé una dotazione minima di cucina da campo così accendiamo un fuoco nei pressi di un ruscello al bordo della strada. Con il contributo delle uova comprate nello spaccio del villaggio (per l'occasione con la negoziante ricorro al mimo della gallina) e della verdura ne esce fuori un rispettabilissimo e gradito pad thai fatto da noi.
Quando scende la notte montiamo le nostre tre amache sul limitare della foresta. Il velo anti-zanzare e l'ondeggiare delle fronde degli alberi che mi sovrastano mi lasciano intravedere il luccichio di qualche stella prima di addormentarmi.

domenica 7 febbraio 2010

Psicobloc en Mallorca : 2º parte

UN AVENTURA PARA ESPIRITUS (casi) HEROICOS
(1º parte | versión en italiano)

DAY 3
Los americanos nos llevan al faro de Puerto Colom debajo del cual el acantilado se abre en una vorágine amenazadora.
El día es anublado, el agua oscura e inmóvil, hoy no sé si tengo ganas de fliñar..!
Ry y Shawn por lo visto salen disparados cómo dos locomotoras con tanto de salto desde arriba, serán unos 25 metros, vaya tela.

Por la tarde vamos a echar un vistazo a la Cova del Diable en Portocristo (la de Two Smoking Barrels del célebre primer vídeo de Loskot).

Unos escandinavos han montado un sistema de cuerdas para sacar unas tomas, otros escaladores tienen un barco fondeado por allí, el rumor sordo del mar ruge debajo de nosotros.
La angustia me ha hecho entrar frío.

No sé cómo me dejo convencer por Ry a bajar el destrepe con él -Sólo un tour - me dice -para que veas la Cova desde abajo- -¿Hay una vía fácil para subir?- pregunto mientras me asomo por el borde -Uhm, you need to squeeze your muscles- (tienes que exprimir un poco los músculos).

Después de bajar unos 15 metros un aérea travesía nos conduce a un pequeño balcón a unos 6-7 metros del agua. Por debajo una escalera de cuerdas para retomar la posición, por arriba un bombo desplomado que deja ver los primeros cantos generosos de Afroman (7b/15), luego quien sabe.
Ry comienza a escalar describiéndome los movimientos, pero con un par de remadas sale del campo visual.
Me he quedado sólo en éste maldito balcón.

Con el corazón en la garganta agarro el primer gran invertido, respiro y suelto los pies de allí; me encuentro volteando en el vacío y empiezo a seguir las maravillosas bocas de caliza maquilladas de magnesio. Un paso largo, oh no, ahí viene la regleta roma que había dicho Ry, desesperado intento juntar manos. Si alguien me está animando el viento se le está llevando las voces, estoy sóoooolo, no pueeeedooo, uaaahhhhhh....

Splaaaash.


Re-emergo del agua contentísimo.
Arriba veo los chicos que me saludan con las manos, él que cae siempre se merece un plauso.
Ahora podemos ir a cenar.


Algunas consideraciones


  • ¿Qué es esto? ¿Búlder? ¿¿Escalada deportiva?? ¿¿¿Alpinísmo??? Un poco de todo, lo juro! Las vías son intensas, el grado comprimido en 3 o 4 pasos de bloque a ejecutarse en un estado mental difícil de controlar. Los grado se asignan con una escala a sabiendas grosera, 6b, 7a, 7c (quizás tuviera sentido hablar sólo de 6°, 7° y 8°), porque luego ha que tener en cuenta el otro numerito a lado: la altura del paso clave. Total, un 7b/10 en una bahía protegida y un 6c/20 maligno con el mar abierto a tu espalda se lo juegan en cuanto a compromiso.
  • Precisamente este factor, el contexto ambiental y el compromiso que el sitio demanda son distraídamente omitidos en el libro de Miquel Riera. Algunos sectores son pequeños parques de attracciones (Cala Varqués), otros necesitan self-control ya sólo para alcanzar el agua (Portocristo). Transporte del magnesio, subida del agua, destrepes, vías de escape alternativas, total, el psicobloc conlleva una componente de aventura en algo más parecida al experiencia alpinística que al gesto deportivo.
  • Escalar con amigos ayuda a disipar los temores, sus gritos son kerosene para tus biceps.
  • Olvidad el relax de una tarde en sector de la escuela de casa. El psicobloc es escalofrío. Que cómo por magia se transforma en júbilo sea en caso de éxito que de salto al vacío.
  • La preparación científica y la espera de las condiciones optimas para el pegue, típico de la escalada con cuerda no existen. Los gatos son constantemente empapados, el magnesio es escaso (si te pasas instintivamente la mano por el pantalón con la idea de secarte el sudor te has condenado), las presas, sobre todo cerca del agua, están húmedas, a veces mojadas mojadas. La elegancia del gesto se sustituye por un eficaz, rabioso intento de quedarte agarrado a la roca.
  • No hay manera de probar o montar una vía; nada de restings, nada de cepillo, hay que meterle caña hasta que puedas, cada intento es por la lógica del juego es a muerte.
  • Los largos segundos de la caída te dejan sorprendentemente el tiempo de asumir la característica posición de torpedo. Los brazos al costado para evitar el bofetón, los tobillos juntos para preservar el paquete. La presión del impacto empuja agua en los conductos nasales. Una mezcla de yoga e ingeniería hidráulica para liberarlos.
DAY 4

Una ojeada y un baño al arco natural de Es Pontas (debajo del cual corre Es Pontas, 9a?/20 de Mr. Sharma), después el último saludo a Cala Varqués.
Es el cuarto día y los cantos estan inesperadamente más secos y nos conceden unas últimas potentes fliñadas de adiós.
Un abrazo a los americanos y, con los gatos mojados en la mochila abandonamos la arena blanca y el agua cristalina de esta maravillosa isla.
Días adrenalínicos, una carga de emociones que no me esperaba, miedo ancestral, euforias viscerales.
Un desafío temerario cuanto infantil, un aventura para espíritus heroicos, en calzoncillos.

venerdì 5 febbraio 2010

Psicobloc en Mallorca : 1º parte

Un aventura para espíritus (casi) heroicos
(versión en italiano)

DÍA 1
Miedo.
Estoy en el filo del acantilado de Cala Varqués, por debajo la roca se esconde a la vista dejando sitio al vacío y unos quince metros más abajo la mesa turquesa del mar.
Respiro hondo, salto. El bofetón del agua, un espumar de burbujas todo alrededor. Dos remadas potentes de brazos y alcanzo otra vez la luz cegadora del sol.
Todo bién, es la hora de ponerse los gatos.


Para poder alcanzar el comienzo de las vías se baja escalando por las líneas más vulnerables (destrepes), pero el yuyu del vacío puede ser intenso y hay quién prefiere llegar nadando y secarse cómo se puede arañado en la repisa a ras del agua.

Bajo todo menos que relajado e intento situarme mirando arriba. La linea de iniciación (Genoveses, 6b/10) me domina amenazadora; -ni hablar-, subo por donde he bajado. Necesito otro salto para un chute de adrenalina.

Media hora después reintento y me encuentro en el desplome de la bóveda con las manos pegajosas de sal marino y sudor, nada de magnesio.
Subo uno 5-6 metros resoplando cómo un toro, pierdo la orientación entre estalactitas y nichos, gesticulo con los brazos endurecidos por el miedo hasta que los nervios ceden. Quito los pies de la roca, miro el patio azul por debajo y dejo que el vacío me lleve consigo.
Splaaash.
No imaginaba que el terror pudiera agotar las fuerzas de ésta manera, estoy hecho polvo!
Miro los demás psicobloqueros mientras me seco al sol, hago un repaso de la línea y memorizo los movimientos cómo si fuera la final de la copa del mundo. Lo intento otra vez y en plena fibrilacíon alcanzo el borde del acantilado, que satisfacción!

Quemado por el sol reparo a la sombra del pinar de Beach-4 -que sitio maravilloso- pienso mientras me quedo dormido.



DÍA 2
El sol despiadado de ayer me ha cocido cómo un rosbif, la mañana pasa a la sombra de los pinos hasta la llegada de los estadounidenses.
Shawn y Ry suben, bajan, saltan del acantilado cómo dos linces; galvanizado voy a buscar más compromiso.
Pocas remadas me llevan a 10 metros de altura, regleta, pié-mano, excitado me estiro hacia un agujero y lo agarro cómo si fuera mi vida; pero no hay nada donde poner los pies, pánico!! Las exhortaciones hacen eco alrededor - C'moooon!- , -Vengaaaa!- . Con el celebro que da mil vueltas me estiro cómo un gusano a la búsqueda del canto salvador... nada.
uaaaaahhhh... el vacío me aspira.
Tienes todo el tiempo de mirar abajo la superficie del mar que se acerca. Splaaashhhh.
Reemergo con la cabeza en el centro del disco de espuma blanca que se dilata, el terror que se había adueñado de mi evapora en unos segundo.



Los intentos repetidos y las observaciones de una jornada afinan las estrategias para poderte secar y echarte magnesio en las menudas repisitas de roca cortante, allí donde con cameratismo se reunen los psicobloqueros intercambiando opiniones y compartendo el precioso polvo blanco.



Nos movemos hacia el sector Metrosexual. Shawn, Ry, Lauren y un par de escaladores sudafricanos se lanzan a la conquista de la bulderosa travesía del techo de la bóveda (Bandito, 7c/10) en un espectaculo circense de dinámicos, rugidos, gritos primordiales y caídas por supuesto.
Con las últimas luces del atardecer decido intentar la línea clásica del sector (Metrosexual, 7a/10). Ésta vez los movimientos ya los he visto, una contribución psicologica determinante. Sin embargo después de la cabalgada por el desplome me encuentro apagado en el paso clave arriba, la regleta izquierda es más pequeña de lo esperado, el corazon acelera, levanto el pié derecho cómo puedo, me estiro, los dedos de la mano derecha alcanzan algo que parece bueno, pero en ese momento los pies pierden el contacto, el cuerpo ondea hacia fuera, la mano izquierda pierde el agarre, un microsegundo después la derecha también; pagaría para poseer el fotograma de mi cara en ese instante.
Uuaaahhhh. Otra vez todo azul.
Salgo del agua, me seco , me preparo, subo otra vez y aguanto la oscilación del paso. Los gritos de los amigos me acompañan en la torpe y nerviosa remontada final, con los brazos de madera agarro todo lo que puedo para sacar mi culo lejos de ese maldito abismo. Estoy a salvoooo! Uauhooouuu!

La percepción de todas aquellas sensaciones se bautizó con el neologismo: fliñar, flipar y cagarse de miedo a la vez, un cocktail de terror adrenalínico y vértigos de eufória. La esencia del psicobloc.



Goldie Hawn - 7b/10 - Cala Varqués