sabato 19 dicembre 2009

3. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Khudi


25 Ottobre – pomeriggio

Kudi 790 m

Ok, sono le 18:55. Non sono mai andato a letto così presto, ma qui si è cenato e non c’è luce; poi oggi ci siamo sbattuti abbastanza per arrivare fino a qua.

Oggi sveglia all’alba e dritti alla fermata del bus per Pokhara in mezzo agli occidentali con i loro bagagli, ai nepalesi che vendono acqua&dolciumi e ai vari bigliettai e piloti con le loro liste. Si accendono i motori del nostro camion-bus e ci tuffiamo nel traffico della periferia di Kathmandu. Completa assenza di un codice stradale. Ci sono gli autobus carichi di nepalesi (la nostra carretta si chiama minibus turistico), i camion dei carovanieri colorati e bricolati, e gli immancabili centauri. Lo sporco e il caos peggiorano fino a quando non si esce dalla città e spuntano risaie & terrazzamenti.

Cinque ore con una pausa pranzo con una stazione da dove a momenti ripartivamo lasciando Francesca in fila per il bagno; fino a Dumre dove scendiamo. Saluto lampo a Robert che proseguirà fino a Pokhara e siamo già su di un altro carrozzone ancora più all-terrain su una strada tutta buche che serpeggia tra le risaie. Sempre in occasione della festività nazionale ad ogni villaggio che attraversiamo i bambini tenendosi per mano fanno fermare l’autobus e cominciano a cantare la stessa filastrocca fra risate&sorrisi. Ora ci sono solo 4 occidentali sull’autobus, io, Francesca e una coppia matura di olandesi anche loro in procinto di iniziare il circuito dell’Annapurna.

L’ultimo tratto fino a Kudi è un incubo; un’ora e mezzo per un tratto che a piedi si fa in due ore; non è neanche una sterrata, è proprio un sentiero, solo un po’ più largo. Il carrozzone oscilla mentre con le ruote totalmente sott’acqua guada un torrente. Poi c’è l’episodio dell’incrocio con un collega carrozzone che viene nell’altro verso; manovre delicatissime con le fiancate che a volte si toccano stridendo; per nostra fortuna è l’altro bus a beccarsi il lato a valle con la ruota che avanza sul ciglio; il nostro procede radente alla scarpata con il bigliettaio e qualche passeggero che sono fuori a togliere le pietre da sotto le ruote. Finalmente sbarchiamo, basta motori e vibrazioni. Nel villaggio ci sono almeno tre guesthouse e poche case; i cartelli ci indicano di attraversare il grosso fiume per mezzo di uno dei due ponti, uno alto e grande di ferro, l’altro piccolo e malfermo di bambù; non so perché passiamo sul secondo.

Entriamo qui alla Riverside View Guesthouse , una piccola fattoria delle fiabe con il giardino alberato, il sentiero e il tetto ricoperto di paglia. Le piccole stanzette con due letti sono state ricavate con dei separè di legno, ogni letto ha la sua zanzariera. Il fiume passa rombando a poche decine di metri.

Prima di dormire nell’oscurità dell’ingresso facciamo le conoscenze del grosso ragnazzo grande come una mano che se ne sta attaccato al muro. Lo battezziamo George, poi corre via dall’uscio della porta. Spero che si diriga verso la sua tana; veniamo colti dall’inquietudine di trovarci un George nel sacco a pelo.


Primi consigli a posteriori

Ci siamo preoccupati per mesi di calcolare, prevedere e rifornirci di tutto quello che sarebbe potuto esserci utile o indispensabile per ogni evenienza del viaggio. Non c’era bisogno, ci pensano sempre i nepalesi a fornirsi e a offrirti sul posto tutto quello che ti serve: dallo snack per il viaggio sull’autobus, alle mappe di ogni angolo dell’himalaya, a zaini, sacchi a pelo, sandali, medicinali, saponette, assorbenti, taccuini, portatori e biciclette. Thamel in particolare è una vera e propria miniera di materiale e equipaggiamento per ogni tipo di trekking. Se ti serve qualcosa per il viaggio, aspetta e compralo qua, scegliendo nella vasta offerta dei negozi stracolmi. Tutta roba usata o prodotta in Cina o in india con i marchi contraffatti di TheNorthFace, Patagonia, GoreTex e LoweAlpine. Naturalmente a prezzi trattabili.

2. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Kathmandu

24 Ottobre - mattina

Kathmandu 1340 m

Sono sul tetto del Mt. Annapurna GuestHouse; mattina presto, Francesca dorme, ognuno recupera i fusi a suo modo, io non avevo più sonno. Comunque fra un’ora ci vediamo con Robert per la colazione.

L’arrivo ieri sera è stato d’impatto; dopo le file per i visti d’ingresso esci nel piazzale all’entrata dell’aereoporto e ti assale lo sciame di tassisti pronti ad offrirti le due cose di cui in effetti hai bisogno: il trasporto verso il centro e una pensione.

Così ci troviamo con l’inglese Robert anche lui appena sbarcato per il suo viaggio nepalese inscatolati dentro il taxi, una vecchia Corvette. Guida a destra, gli zaini che sporgono fuori dal bagagliaio, i colpi di clacson, scarsissima illuminazione, biciclette e pedoni che spuntano nella penombra fra i paraurti di taxi, jeep, risciò e Tempo, piccoli tricicli a motore stile Ape Piaggio; nelle narici il monossido dei tubi di scappamento e mentre il conducente pensa ad imprecare in nepalese ad ogni incrocio, il copilota Kiran anglofono ci chiede quanto stiamo, dove andiamo, ci parla della festività di domani e naturalmente della sua pensione Mt. Annapurna GuestHouse. Mentre Kiran suggerisce a Robert di spacciarsi per irlandese perché è meglio di inglese o americano, il pilota brucia il rosso dell’unico incrocio semaforizzato e per punizione il vigile ci dà una palettata sul cofano.

Entriamo a Thamel, il quartiere dei negozi e degli alberghi per gli occidentali, ci mostrano la pensione; contrattiamo un po’ sul prezzo, 8 dollari, alla fine rimaniamo qui, una bella camera con bagno. Mi faccio una doccia mentre Francesca armeggia pericolosamente con il caricabatterie e la presa sfidando apertamente l’amperaggio della rete elettrica di Kathmandu.

Cena con Robert al, sembrerà strano, Annapurna Restaurant. Le insegne del quartiere di Thamel sono una permutazione ciclica dei nomi altisonanti Everest, Himalaya, Makalu, Helambu, Tibet, Annapurna seguiti dalle specificazioni Guesthouse, Hotel, Inn, Resort, Guide Office, Call Center, Internet Point, Cafè, Restaurant, Bookstore, Bakery o Outdoor Equipment: in pratica tutto e solo ciò di cui la moltitudine di occidentali a passeggio ha bisogno. Il cibo è buono, piccante, economico; un salto ad un internet point e poi a nanna che, se non fossero bastate le ore di viaggio, ci avrebbe pensato la bottigliona di birra Everest a farmi fare sonni tranquilli.

Dal tetto ti guardi intorno, altri tetti, un susseguirsi di antenne, bidoni dell’acqua, pannelli solari, panni stesi, festoni, bandiere e uccelli che saettano tra grondaie & cornicioni; tutte case in mattoni di cotto rosso tipo america primi novecento; niente templi o palazzi in vista, ma fra le alture che abbracciano la città spunta tra le nuvole la testa bianca di una vetta d’alta quota. I cani abbaiano nei cortili, c’è anche un gallo che intona la sveglia da qualche parte, e fiori dappertutto, gialli, rossi, viola.


La colazione internazionale: caffè, toast e marmellata nella saletta della Guesthouse.

Sadi in perfetto inglese comincia a parlarci di trekking, dei problemi dello sviluppo turistico e di yeti e alla fine ci conduce alla sua agenzia. Cerca in tutti i modi di convincerci a prendere una guida, ma noi lo abbiamo seguito solo per prenotare l' autobus di domani.

Estenuante fila per il cambio di rupie alla banca con il miglior tasso; esco con una mazzetta di banconote come un gangster e ci registriamo all’ufficio dell’ Annapurna Conservation Area Project (ACAP) per il visto del trekking.

Il traffico dei veicoli per le strade di Kathmandu balza subito agli occhi e quello nelle zone pedonali è una cosa sconcertante; le auto non entrano solo dove non passano fisicamente e al posto loro ci sono i centauri; frotte di motociclette si fanno strada a colpi di clacson fra la calca della gente con le buste di verdure in mano. Poi ci sono i risciò; piloti provetti disegnano traiettorie millimetriche, un centimetro a destra e sfondano la bancarella di mele con il cardine della ruota, a sinistra e sfonda l’altro risciò. A volte ti trovi in mezzo. Poi c’è l’ingorgo multiplo quando una moto, un risciò e un ape tempo si incontrano all’angolo del vicolo e si incastrano come i pezzi di tetris; neanche il tempo per una marcia indietro e arrivano altre due moto, un taxi e il carretto di frutta. Il flusso pedonale è completamente otturato mentre i conducenti risolvono il rebus; per fortuna i pedoni non hanno il clacson.

Pranzo sulla terrazza del Cafè de Trekkers tra crepes, the e omlette sempre insieme al nostro Robert che ci spiega la corretta sequenza di operazione da eseguire per la preparazione di una buona tazza di tea . Poi verso Durbar Square, la piazza dei monumenti.

Oggi è festa, il primo dei cinque giorni è dedicato ai cani, le porte degli dei, che per l’occasione, siano essi anche pulciosi cagnazzi impolverati, sono addobbati con ghirlande di fiori. In piazza ci sono spettacoli di danza e cori; non manca l’esibizione di un pop singer locale sul palco illuminato. Dall’altra parte delle donne come vestali mantengono vive le fiammelle di centinaia di candele che disegnano una scritta. Un tappezziere nepalese affascinato finisce per chiedere la mano di Francesca che lo elude garantendo che al ritorno dal trekking accetterà l’invito ad una tazza di tè.

1. Nepal 2003 - diario di un viaggio - In volo


22 Ottobre - mattina

Stazione di Fano

I bastoni. I due bastoni fissati dietro lo zaino, dico quelli per camminare; sono l’unica cosa che mi contraddistingue dagli altri studenti in attesa del treno per Bologna. Per il resto sono solo più imbacuccato del solito; ma questo non in vista delle destinazioni himalayane, ma solo perché, chiaramente, mi sono beccato il raffreddore e una mezza influenza due giorni fa. Devo dire che sono abbastanza teso; e fino a ieri me ne stavo tranquillo a perdere tempo davanti al computer. Vabbè c’erano i pacchi da preparare ma avevo avuto mesi per pensarci e mancava giusto la selezione delle t-shirt e del cappello giusto; ma stamattina ogni errore è irreparabile; in macchina, in stazione, poi il treno, poi in aereo, un ingranaggio che deve essere oliato bene. Il saluto dei miei stamattina con le palpebre socchiuse immerso nel mio piumone, qualche telefonata, qualche voce, qualche saluto, una carezzina alla mia Indy scodinzolante e poi via! Non sono mai andato così lontano, mi tremano le gambe…


Aeroporto di Amsterdam

Mezzanotte, dovremmo essere già in volo per l’oriente ma c’è il dannato ritardo: si sta qua in attesa insieme ad Alessandro di Prato che se ne va anche lui in Nepal, si capiva subito dallo zaino. Faremo anche una tappa in un aereoporto degli Emirati Arabi, ecco perché ci si mette 11 ore. Intorno a noi c’è tutta la fauna di turisti occidentali, più della metà sono trekker: sfavillio di giacche, zainetti e scarponi, e molti taccuini di viaggio. Poi c’è qualche nativo che torna a casa; la donna sorridente a fianco a noi in attesa dell’aereo oltre che di un bambino è di Kathmandu, ma vive a Ginevra con suo marito guida alpina.


23 Ottobre – ora indefinibile

Dal cielo

Siamo sopra il Pakistan, o forse già in India. Terra, dune, alture, nessun albero, i solchi del vento e dell’acqua, poca. Poi un fiume, più grande, e intorno il reticolo di canali con i fazzoletti di terreno coltivato. Le strade, i solchi dell’uomo che serpeggiano nelle radure spoglie e poi convergono a stella verso una città; le case dall’alto, increspature nelle distese piatte, sembrano sputi nella pianura. Tutte uguali, anonime; chissà chi vive laggiù, chi è, penso, seduto nella pancia del pennuto di ferro.