lunedì 28 dicembre 2009
Avatar - the movie
Il pubblico che ha aspettato e goduto dell'uscita nelle sale del Signore degli anelli, che considera Matrix un capolavoro di Hollywood o che conserva ancora il VHS di Alien o Balla coi lupi non verrà deluso dal nuovo techno-fantasy neo-ecologista firmato James Cameron.
In un futuro imprecisato ci troviamo su Pandora, un pianeta ricoperto da foreste inaccessibili, popolato da creature uscite dal più fantasioso dei bestiari e da tribù di umanoidi a metà strada tra gattoni antropomorfi ed elfi di Tolkien. Saltellano per la giungla come guerrieri aztechi, cavalcano e lanciano frecce come temerari Sioux e pilotano lucertole alate anche queste in piena iconografia fantasy.
L'uomo d'altro canto ha già messo gli occhi sulle risorse minerarie del sottosuolo e, con le buone o con le cattive, è deciso a far sloggiare gli indigeni.
Un marines viene assoldato per integrarsi con la tribù prima che sia necessario fare appello all'intervento militare.
Ma non è lui in persona a svolgere questo compito bensì il suo avatar feliniforme, un alter-ego creato geneticamente e controllato a livello neuronale da una postazione cibernetica stile Matrix.
Gli ingredienti ci sono tutti, al regista viene concesso di pescare a piene mani dai topici del futuro (dreadnought, navi spaziali, sale comandi con monitor concavi) , del passato (cavalcature, riti d'iniziazione, gridi di battaglia) e di una morale etico-ecologista che lancia un chiaro messaggio allo spettatore: lottare per la salvaguardia della fragile ricchezza del (nostro) pianeta, il suo ecosistema.
watch it in full-screen!
martedì 22 dicembre 2009
19. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Epilogo
Si narra che il dio Bairab di ritorno da un lungo viaggio sorprese sua moglie Pashima giacere a letto con un giovane. Bairab non ci pensa due volte, estrae la sua lama e lascia partire un fendente. La testa del ragazzo, di nome Ganesh, rotola sotto il comodino. Tutto ciò prima che Pashima abbia il tempo di comunicare a suo marito che il giovane è loro figlio, partorito e cresciuto durante la lunga assenza di Bairab. Quest'ultimo, pochi attimi prima paonazzo di rabbia e ora visibilmente imbarazzato, deve assolutamente trovare un rimedio alla scomoda situazione; in fin dei conti è un dio! Ma il decalogo delle divinità parla chiaro: la condizione per poter resuscitare un morto è che la sua testa venga sostituita con quella del primo animale che capiti alla vista. Bairab rinfodera la spada, apre la porta della veranda e posa gli occhi su un elefante che in quel momento pascolava là vicino. Pochi attimi e Pashima, ancora in vestaglia, può di nuovo abbracciare suo figlio Ganesh con il nuovo volto pachidermico.
Ma non era poi meglio un marito cornuto di un figlio con la proboscide?
18. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Back home
18 Novembre
Kathmandu 1340 m
Oggi pomeriggio l’aereo; ancora a zonzo per Thamel, senza meta; ci siamo affezionati al clima del quartiere anche con i suoi risciò da schivare e i clacson prepotenti dei centauri. Gli zaini sono pronti per l’imbarco; un ultimo cambio di rupie per le tasse doganali di uscita, poi il taxi per l’aeroporto.
19 Novembre – ore 5:00 AM
Aereoporto di Amsterdam
Sono appena uscito dal bagno. Uno specchio. La carta igienica fuoriesce da una protuberanza metallizzata e se ti chini per allacciarti le scarpe una cellula percepisce la tua assenza e decide che è giunto il momento dello scarico. Roba seria. Abbiamo cinque ore, io e Francesca ce ne stiamo svaccati su due poltroncine di gomma cremisi con i libri in mano e i due ultimi croissant della bakery di Thamel mentre l’aereoporto si risveglia.
Per i grandi corridoi illuminati passano i colletti bianchi con le ventiquattrore e i portatili e mi sento pervaso dall’orgoglio provinciale di essere uno che viene da lontano, -ok, ora passo qui nel vostro aereoporto, ma io ne ho fatta di strada, sapete?- poi mi addormento sulla poltroncina.
Anche qua ci sono croissant, pasticcini & cappuccini, ma bisogna tirare fuori gli euro; mi alzo, guardo i prezzi e mi trattengo per non pensare a quante maschere del dio Ganesh dalla testa di elefante ci avrei potuto comprare.
Mi sento già a casa.
19 Novembre
Sul treno da Bologna a Fano
Ore 14:00, mi sveglio dopo un’ora di sonno. Metto a fuoco su quello che ho intorno, questo non è l’aereo. All’incirca le stesse vibrazioni, lo stesso rumore di sottofondo, sono passate 24 ore dall’imbarco a Kathmandu.
Sopra i cieli di Bologna l’aereo è sceso sulla coltre bianca di vapore distesa sulla pianura fendendo le nuvole con le sue ali metalliche. Qualche secondo, il colore del finestrino alla mia destra attraversa tutte le gradazioni del grigio, poi sotto gli occhi compare la città.
Camion si muovono veloci su una bretella autostradale; è mezzogiorno e c’è tanta nebbia che le auto vanno avanti con i fari. Poi le gomme del carrello raschiano l’asfalto della pista. Io e Francesca ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
Fine del viaggio. Ho passato mesi a pensare a come sarebbero potuti trascorrere i giorni sull’himalaya, quello che avrei visto, scritto, ricordato. Percepisco il possibile, probabile sopraggiungere di una lieve soffice marea nostalgica; eintanto le maschere di Bairab e Ganesh dormono incartate nei fogli di giornale nepalese; fra poco vedranno quanto è grigio a Novembre il cielo sulla fetta di terra dove li ho portati.
17. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Ultimi giorni
16 Novembre
Sundarijal 1360 m
Ieri sera il pollo non era poi così –very good-; una delle poche volte (a parte l’Oscar del Piccante del ristorante indiano di Pokhara) che la cena ci è rimasta sulla stomaco.
Per la colazione decidiamo di fare due passi scendendo per trovare un posto più a valle.
Ci ritroviamo inaspettatamente ad attraversare un posto di blocco dell’esercito che è anche l’ingresso del Parco di Shivapurna; peccato che noi arriviamo dal lato sbagliato, ossia siamo già dentro, e senza biglietto; vogliamo solo uscire, fra l’altro non si sa nemmeno quando come siamo entrati; forse la scorciatoia dimensionale del vecchio nel bosco, mah.
Alla fine concordiamo con l’Ufficiale il prezzo di un biglietto per tutti e due, ormai abbiamo capito come si fa. Francesca si guadagna pure i sinceri apprezzamenti dei gentilissimi soldati che avrebbero gradito anche una foto ricordo.
Finalmente la colazione, qui all’ Ecstasy Adventure Cafe immerso nel verde con i nepalesi che giocano a freccette; purtroppo è disponibile solo nella versione English Breakfast Set : uova, patate (piccanti), toast, burro, marmellata & caffè; così proviamo pure questa.
16 Novembre
Pashupatinath, Kathmandu 1340 m
Da Sundarijal prendiamo un autobus contrattando sul prezzo; funziona che prima di guardano negli occhi e poi sparano quello che secondo loro è il prezzo del biglietto.
Scendiamo a Boudha dove c’è uno stupa enorme, il più grande del Nepal, poi a piedi per la quieta periferia di Kathmandu verso il complesso di templi di Pashupatinath sulla riva del fiume per assistere a una cremazione induista.
Per entrare si paga e all’ingresso ronzano le guide a caccia di turisti; non entriamo, saliamo lungo una scalinata laterale, poi un sentiero che scende al fiume più a monte da dove si vede lo stesso. Ci appostiamo per vedere da lontano la salma ricoperta di veli e fiori che viene benedetta con le acque sacre del Bramati dai parenti in lacrime, la costruzione della pira, poi le fiamme; due funzionarie provvedono a gettare paglia bagnata sul corpo per contenere il fuoco e per coprire la vista delle viscere arrosto; il fumo e l’odore acre di carne bruciata arrivano fino a qua. Le ceneri infine andranno in acqua, da là fino al Gange.
17 Novembre
Kathmandu 1340 m
Ieri sera, la penultima cena in terra nepalese mi rallegravo tra me & me di aver passato un mese di regolarità incomiabile dal punto di vista gastrointestinale; mi trattenni dall’esporre l’argomento a Francesca, mi dico –non si sa mai porti sfiga-. E’ bastato il pensiero. Dolori e scariche arrivarono come una temporale in agosto; per fortuna dal tavolo al cesso (libero) del ristorante la strada era breve. Al momento sono sotto l’effetto paralizzante dell’Imodium, tutto ok, staremo a vedere.
La mattina trascorre oziosa tra le vie congestionate di Thamel tra una bottega di borse colorate e una bancarella di t-shirt. In Nepal se non ci sono le salite, il sudore e la fatica a distrarti e difficilissimo sottrarsi alla frenesia delle spese, all’acquisto compulsivo, come dice Francesca.
Il ricordo dei kilometri percorsi tra i monti ora si fa più limpido, definito; ancora vivido, ma già nelle gallerie della memoria; il pascolo degli yak con il sole che scompare dietro le creste ghiacciate dell’Annapurna, il pile stretto addosso, le mani in tasca, le gradazioni del cielo sopra la testa e il sentiero del domani che si snoda su per la valle; sei lontanissimo da tutto quello che conosci, un puntolino tra i monti di un altro continente e quel sentiero è la garanzia della realtà; quella strisciolina stampata in rosso su cui passavi il dito seduto alla tua scrivania un mese fa ora è un solco di terra vera, hai la polvere sulle scarpe, crosticine di fango sui pantaloni, e devi solo seguirlo, ti riporterà a casa.
16. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Nagarkot
Fantastico. Questo lodge è fantastico. L’unica stanza sulla mansarda di una casetta in legno con una sala da pranzo calda e accogliente; la cucina è ancora un volta buonissima e il gestore, un angelo, domattina ci sveglierà all’alba per ammirare la catena dell’himalaya all’orizzonte. –No Problem- dice –Il Nepal è il Paese del No Problem- sottolinea.
Per arrivare fino a qua ci sono volute solo un paio d’ore d’autobus più o meno stracolmi così stamattina abbiamo trovato il tempo per ulteriore shopping e per una visita al tempio di Swayambunath sulla cima di una collina subito fuori Kathmandu: fra gli stupa e lungo la ripidissima scalinata giocherellano e si spulciano oziose decine di scimmiette –the monkey temple lo chiamano, infatti- in mezzo a turisti, credenti, venditori ambulanti e qualche capra.
Sottolineo ancora quanto siano fenomenali le bakery di Thamel; non so dove si siano procurati le ricette per tutti i tipi di panini, croissant, torte, biscotti & pasticcini, ma assicuro che il “momento-bakery” è una vera soddisfazione. Vassoio, self-service tra i cestelli di vimini, poi il micro-onde di fianco alla cassa, poi al tavolo sulla terrazza; fortuna che in Nepal ci sono le montagne da vedere sennò non ci schioderemmo più di qua.
La nostra borsa con tutti gli acquisti e altre cose diciamo inutili per il trekking è stata lasciata in ostaggio all’Hotel California dove torneremo a prelevarla tra due giorni; dopo bisognerà riuscire a portare tutto in aereo, ma quando continuiamo a ripeterci –compra adesso, sennò al ritorno ti pentirai di non averlo fatto-.
15 Novembre
Prima di partire spulciando guide, cartine e siti web pensavo che un trekking breve nei dintorni di Kathmandu sarebbe stato propedeutico al grande giro dell’Annapurna.
Per fortuna che l’idea è stata cassata, perché muoversi, orientarsi & non perdersi è veramente difficile per la campagna della valle.
Cartelli, pochissimi o nessuno; sentieri, bivi, tracce, un infinità; mica come a quattromila metri dove c’è un unico sentiero con i cartelli che indicano minacciosamente la direzione del Thorung La.
A salvarci dalla morte per stenti nelle risaie sono state tutti i contadini a cui abbiamo chiesto innumerevoli volte –Mulkharka?-. Qui, inglese zero. Ti rispondono a gesti simulando a colpi di braccio lo scavalcamento del crinale e annuendo indifferentemente secondo l’antica tradizione nepalese di non contraddire mai il forestiero. A metà pomeriggio eravamo letteralmente persi fra i campi terrazzati con la nostra schifosa mappa incartapecorita di trent’anni fa (costava meno) fra le mani; e io che continuavo a guardare il sole, un po’ per trovare il nord, un po’ per tenere d’occhio le ore di luce.
Per fortuna un vecchio ci ha accompagnato all’imbocco di quello che riteniamo essere stato un passaggio segreto nel bosco che solo lui conosceva.
Gli regalammo due sigarette prima di entrare speranzosi nella macchia.
Al Karma Lodge siamo arrivati stravolti & schienati; e affamati, siamo in attesa del nostro riso con pollo e curry che il nostro commensale sessantenne americano con la fiaschetta di whiskey in mano ci assicura essere –veeeri gùd-.
15. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Patan
13 Novembre
Kathmandu 1340 m
Oggi giorno di svacco, e shopping. Ci dirigiamo a piedi verso Patan, la seconda città della valle conurbanizzata con Kathmandu; dalla cartina saranno una manciata di kilometri, ma finiamo per perderci nel degrado periferico per le sterrate tortuose e sporche che non si capisce dove portino; ci mettiamo più di un’ora per raggiungere il centro.
Durbar Square (anche qua), la piazza principale è un susseguirsi di templi, chorten e stupa di ogni calibro e dimensione; qui incontriamo di nuovo Eyan, l’israeliano solitario conosciuto sulle falde dell’Annapurna e passiamo la giornata con lui per le strade con un’ora di relax sulla terrazza del Cafè du Patan.
L’atteso shopping a Patan non è in realtà così attrattivo; decine di botteghe vendono statue di budda in oro e argento, ma è tutta roba per gli altari delle case nepalesi, come si fa a portarsi in aereo quindici chili di metallo?
Una corsa su uno dei famosi “Tuc Tuc ”, pulmini privati stracarichi i gente che sono poi l’evoluzione dei “Tempo”, e siamo di nuovo a Kathmandu pronti per l’acquisto di maglioni, maschere, collane, confezioni di tè & marionette. Verso sera sono più stanco che dopo una tappa dell’Annapurna; e affamato. Ora scrivo, sazio, di fronte all’ultima tazza di tè del Typical Nepali Restaurant in un vicolo di Thamel serviti e riveriti dal giovanissimo cameriere che a voglia di raccontarci quello che gli piacerebbe fare da grande.
A fianco di Gompo Dallo Sguardo Fiammeggiante compaiono ora nel mio esercito Bairab La Furia Diabolica e Garula & Komani, le streghe gemelle armate con i loro pungoli.
14. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Sauraha
Sauraha 500 m ?
-Yes, yes no problem, vi svegliamo noi alle 6 –
La prova provata che i nepalesi rispondono sempre e comunque di sì ad una richiesta di un occidentale.
L’autobus per il parco Chitwan è alle 6:45; sveglia programmata alle 6:00.
Apro un occhio, anche l’altro; l’unico orologio a nostra disposizione nella macchina fotografica digitale. Guardo. Ore 6:37. Azz... mi sa che l'abbiamo perso.
E invece no. Siamo riusciti a salire sull’autobus, perché il tempo è relativo non solo perché chi è senza orologio; arriviamo trafelatissimi in taxi alla stazione degli autobus alle 7:00 e scopriamo che alla fine l’autobus parte alle 7:30. C’è anche il tempo per una cornetto & caffè alla Bus Station Bakery. E comincia il viaggio.
Innumerevoli blocchi della polizia militare per uscire da Pokhara, poi la strada sempre più dissestata; pensavo che ci attendessero solo pianure e invece ci infiliamo nella gola scavata da un grosso fiume completamente sfregiata dalle frane. La Mahendra Highway , va bene gli eufemismi, ma non credevo si potesse arrivare a tanto: sterrata con qualche singhiozzo di asfalto, con i camion colorati in fila per ogni guado dove passa un veicolo per volta, decine di metri di strada sprofondata più a valle e l’autobus con le ruote nel fango, nemmeno una galleria. Evidentemente neanche a rifarlo il manto stradale perché tanto frana tutto al prossimo monsone.
Poi tra i sobbalzi del bus mi volto a guardare il fiume, e lo vedo.
Il corpo di un uomo. Cadavere. La pancia rivolta verso il basso, nudo, cinquanta metri più in basso, trasportato dalla corrente, sembra lacerato, decomposto, la pelle gonfia. Rimango impietrito qualche secondo a fissarlo roteare lentamente nell’acqua. Poi sento la ragazza inglese dal sedile dietro sussurrare –oh, my God-, allora sveglio Francesca che dorme nel sedile di fianco, il cadavere ora è scomparso alla vista dietro un’ansa del fiume, le dico che c’era un morto laggiù nell’acqua, trasportato dalla corrente.
Rimaniamo a guardare il fiume senza una risposta, che ci faceva là? Caduto? annegato? Fucilato? Il dubbio mi ronza in testa per qualche ora; chissà se stanotte lo sognerò.
Ci avviciniamo al Parco di Chitwan, sono passate 5 ore, intorno ci sono foreste con alberi grossi e altissimi, fa più caldo.
La guida ammoniva sulla presenza soffocante degli avventori turistici pronti ad indirizzarti al lodge dal quale prendono la parcella. E’ terribile; già prima di arrivare ecco il primo manipolo di procacciatori che sale sull’autobus precedendo sul tempo la fanteria appostata all’autostazione. Quando il bus spegne i motori è il delirio; tre o quattro di loro per ogni occidentale; ti ronzano intorno come moscerini mentre aspetti che il tuo zaino venga scaricato dal tetto, un flusso ininterrotto di voci che insistono su camere con bagno, torri d’avvistamento per le tigri e rinoceronti che pascolano nel giardino. Un’ americana scoppia urlando a squarciagola – STOP IT!!! -. E’ esausta. Ci avviciniamo a piedi verso il villaggio con due di loro alle calcagna; uno di loro, avrà vent’ anni non ci da pace, non molla, è allenato.
Per motivi contingenti finiamo al Crocodile Camp che non è di questo ragazzo, forse di suo zio, ma è uguale; ci chiede quanto proponiamo per le camere con bagno. –100 rupie.- rispondo. E’ pochissimo. –Va bene- dice. Ma dove sta il proprietario? Non ci capisco niente, ma è uguale.
La concorrenza ha portato la contrattazione e il crollo dei prezzi ha livelli completamente deregolamentati.
Il tempo di una doccia, usciamo, il ragazzo è ancora là pronto ad accompagnarci a vedere i cuccioli di rinoceronte, poi la riva del fiume, poi le camere del suo lodge, poi il miglior posto per mangiare –Basta, per favore!-. Riusciamo a liberarcene per raggiungere autonomamente la terrazza del Jungle View per mangiare qualcosa.
12 Novembre
Kathmandu!! 1340 m
Ok, siamo nella capitale prima del previsto. Ieri a Chitwan la situazione degenerò. I numi, le divinità, forse lo stesso Gompo, avevano tentato di avvisarci, di ammonirci; l’evento della mancata sveglia, il morto nell’acqua, perfino lo scivolone di Francesca lungo la strada a piedi per Sauraha. Ora la trappola è scattata.
Abbiamo due predatori alle costole: uno, Alfa, è di buone maniere, moderato, accondiscendente, quasi timido; l’altro Beta è viceversa un continuo pressing asfissiante, un parassita subdolo, bugiardo oltre che ansioso e ipercinetico.
Obiettivo: condurci all’interno del Parco. Modalità: loro completo controllo della situazione, tu non devi fare niente, pensano loro a tutto, dagli elefanti, alla jeep, al cibo, all’acqua, alla carta igienica. Sembra che l’intero villaggio sia una enorme tela di ragno stretta intorno a noi; una dopo l’altra usano tutte le armi dell’arsenale a loro disposizione: in bicicletta fuori dal parco per conto nostro? Pericolo di rinoceronti (?), tasse (??), elevata probabilità di perdersi fra i villaggi (!??). Andare via di qui? Domani comincia uno sciopero, dura tre giorni.
Quando salta fuori lo sciopero ci saltano definitivamente i nervi, forse bisognava fare come l’americana che ha strippato dopo dieci minuti.
Io e Francesca non crediamo più a una parola; Beta vuole accompagnarci a prendere una birra. E’ impossibile liberarsene senza assumere un tono scortese.
La mattina, stamattina, Alfa ci aspetta davanti alla porta della camera accompagnato da una guida in divisa. Paghiamo la stanza, le 100 ridicole rupie senza un centesimo di mancia, andiamo a cercarci i biglietti; la scusa dello sciopero deve essere ricorrente, si evince dallo sguardo dell’uomo dell’agenzia. Fuga. Sono rimasti a bocca asciutta, e dire che non mi sarebbe dispiaciuto vederla questa giungla.
Tutto questo ci valga come esperienza per l’affronto della più tenace e spudorata circuizione del turista, la preda dei predatori in divisa. Spero che la tigri si aggiri serena e maestosa fra la vegetazione dell’immenso parco che si apre sull’altra sponda del fiume, lontano da binocoli & canoe.
Di nuovo sull’autobus, questa volta la compagnia Sai Baba Travels , di nuovo la dannata gola tappezzata di frane, di nuovo sette ore seduti; c’è pure qualcuno che vomita nelle ultime file.
Ed eccoci ancora a Thamel, con le luci, i suoi colori, le sue insegne, le sue bancarelle, gli occidentali a passeggio, gli slalom dei risciò, i clacson delle motociclette.
Nel negozio di artigianato sotto il nostro Hotel California compro la scacchiera e i pezzi del Bagh Chal, il gioco delle tigri e delle capre; finalmente una piacevole contrattazione e una stretta di mano, sarà il regalo per i miei, a loro piacerà.
13. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Pokhara
9 Novembre - cena
Piacevolmente seduti al tavolo di un bar sul lungolago con il succo di mango, maglietta, sandali e occhiali da sole, –just relax- come si sognava al freddo tra i monti innevati.
Quattro ore di autobus sferragliante per arrivare fino a qua tra buche, guadi, i posti di blocco dell’esercito e i clacson a pieno regime.
Poi arriva Pokhara, la città delle casette e delle stradine con le biciclette e i polli; agli occhi dei numerosi procacciatori di turisti i polli siamo noi, -i dollari con le gambe- come dice Francesca, ma basta destreggiarsi un po’ ed eccoci al Peaceful Lodge con il grande giardino con le siepi e il nostro bucato totale steso al sole.
Il viale del lungolago è, come Thamel a Kathmandu, una distesa ininterrotta di insegne, botteghe di vestiti, artigianato, baretti, bakery, banchi cambiavaluta, qualche mucca che passeggia, ristoranti, fotografi, market e agenzie turistiche per prenotare autobus, trekking, safari, corsi di yoga, massaggi, parapendio, kayak e meditazione.
Io e Francesca ci compriamo dei vestiti meno montanari e più fricchettoni, poi si cena sulla terrazza del ristorante indiano Sikh Indian. La scritta a caratteri fiammeggianti evidenzia il tono deliberatamente piccante del menù. Perdio, anche il tè era piccante.
10 Novembre - pranzo
Mattina, il tempo è un po’ nuvolo, chissà se il nostro superbucato riuscirà ad asciugarsi. Colazione alla German Bakery che avevamo adocchiato ieri pomeriggio con caffè & latte e un croissant al cioccolato da dieci e lode; ancora shopping, la prenotazione per il bus che ci porterà domani a sud verso il Chitwan National Park , poi due biciclette in affitto per un giorno (50 rupie, circa 60 centesimi di euro!) e via per la campagna di Pokhara; campi coltivati intorno al lago, uomini e donne che affastellano le balle di riso con i fazzoletti in testa; silenzio e calma disarmanti anche qui, sulla terrazza del Guru Lotus Restaurant affacciato sul lago con Manu Chao di sottofondo, uno stato di rilassamento che ha dell’esoterico.
Pomeriggio, ancora in bicicletta questa volta a nord della città lungo la strada che costeggia il lago; ci sono i pescatori sulle barchette che lasciano la scia sull’acqua immobile, qualche lodge isolato; tranquillità che si mescola alla calda umidità del lago, ai suoni ovattati, alle sfumature tenui e all’odore delle risaie. Non me lo immaginavo un posto così, calmo, seducente, ammaliante, da scioglierti le membra.
domenica 20 dicembre 2009
12. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Fine del circuito
8 Novembre - mattina
Alba. Un caffè e poi dritto alle hot springs sulle rive del Kali Gandaki; l’aria non è fredda ma l’acqua nelle vasche è davvero calda. Tutti i bambini del villaggio sono là a giocare nell’acqua. Solo una bambina gioca con loro ed è a mollo con tutti i vestiti addosso, questo non me l’aspettavo. Dopo l’abluzione rigenerante colazione con le paste della bakery del lodge, cosa desiderare di più?
8 Novembre - cena
E’ finito. Il giro è finito; siamo a pochi kilometri da Beni dove domani prenderemo l’autobus per Pokhara, ma già qui sono ricomparse le biciclette e le chevrolet rialzate per lo sterrato che fungono da taxi.
Ci fermiamo al Riverside lodge dove l’unica stanza rimasta ha il bagno in camera che il gestore finisce per metterci praticamente allo stesso prezzo pur di farci rimanere.
L’ultima giornata è stata piacevole; lungo il sentiero da Tatopani la vegetazione si fa sempre più tropicale e rigogliosa, ci sono strani frutti gialli che vendono nei batthi e grossi cetrioloni verdi che pendono dai rami; sempre numerose le carovane di asini che salgono & scendono lungo la valle. Domani un’altra ora di cammino, poi l’asfalto; è ora di scrivere qualche considerazione.
Sull' Annapurna Round Trip
Innanzitutto smorzerei praticamente tutti i toni preoccupanti della guida riguardo alla congestione di occidentali nei lodge, alla monotonia del cibo e ai rigori del freddo. Alla fine è un viaggio non certo rilassante, ma percorribile in tutta serenità; hai sempre tutto a portata di mano e raramente i gestori non si spaccano in quattro affinché tu esca felice dal loro lodge.
L’unica cosa è che ti deve davvero piacere camminare, per molti kilometri ogni giorno e con il pesante carico addosso; ho i segni dello zaino sulle spalle dopo due settimane.
Non bisogna poi aspettarsi troppo dal livello igienico, soprattutto in montagna dove i bagni si riducono a una capanna con un buco per terra e un secchio d’acqua.
Le camere invece sono quasi sempre spaziose, con un tavolino, una candela e qualche chiodo per appendere i vestiti, e la maschera del buon augurio.
Il cibo è meraviglioso; abbondante, saporito e servito con ogni riverenza. Sarà poi che quando hai camminato tutto il giorno. Naturalmente i menù sono una la fotocopia dell’altro, ma con quei pochi ingredienti a disposizione i cuochi riescono a stupirti. Chiaramente ti devi assuefare a bere tè tutto il giorno, la calda alternativa all’acqua al sapore di piscina che ti porti in spalla.
Ultima cosa, se hai un minimo di confidenza con i sentieri di montagna, la guida è assolutamente non essenziale, te la cavi benissimo da solo. O in due.
11. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Tatopani
6 Novembre - pranzo
Ieri sera dopo il gustosissimo piatto di chowmein c’è stato il momento televisione. La guesthouse è dotata di ogni sorta di elettrodomestico tra cui un frigorifero, un videoregistratore e un micro-onde usato come dispensa. Beh, tutta la famiglia tra cui la nonna e un bebè è pronta per assistere al nuovo episodio di Kunkun, una telenovela in lingua indiana di rara pesantezza intervallata da kilometri di pubblicità della quale la famiglia non perde un fotogramma. Ci troviamo spaesati a pensare che tre giorni prima cenavamo raccolti davanti ai focolari con gli yak che pascolano fuori.
Oggi dopo una colazione con muesli, latte e mele che sono la ricchezza gastronomica della valle, cominciamo la marcia verso sud. Ormai si è capito l’andazzo, le tappe non sono più segnate dai dislivelli ma dai kilometri, quindici o venti al giorno. Il sentiero si sposta dai saliscendi sui fianchi della valle costellata di frane alle distese di ciottoli tondi sul letto del fiume; le indicazioni non sono il massimo anche perché credo che ad ogni monsone il tracciato delle piste venga rinnovato; ancora una volta siamo finiti a camminare sul versante meno battuto in cui ti devi arrangiare tra i guadi degli affluenti e i piccoli e grandi smottamenti del sentiero.
Ora siamo a Kalopani, tutto case di mattoni bianchi, mangiando qualcosa sul tetto senza ringhiere dell’Everest Lodge. A Sud tra le nuvole è spuntata finalmente anche la vetta dell’Annapurna I.
7 Novembre - mattina
Giù per la valle che si stringe fino a diventare una gola con le frane, gigantesche, come morsi nella montagna. Poi scopriamo lungo il sentiero le simpatiche piante di marijuana, a volte dei veri e propri alberi; non possiamo sottrarci dal prelievo di cannabis himalayanis.
A Ghasa, al New Florida lodge con i suoi deliziosi giardinetti interni, le comitive di trekker attempati, la maschera di Gompo che veglia attaccata alla finestra della camera, la televisione nella sala da pranzo che trasmette i balli della festività nazionale con una nenia immutabile che dura ore; i nepalesi incantati davanti allo schermo.
7 Novembre - sera
Vuol dire –acqua calda-, qui ci sono le sorgenti termali e domattina andremo a farci anche noi il bagno terapeutico prima della colazione. Ed è anche pieno di botteghe di artigianato tibetano, sciarpe, borse, gingilli, statuette e T-shirt con la mappa stampata del circuito dell’Annapurna. Per arrivare fino a qui ancora grandi frane lungo la valle e i lunghi ponti sospesi dei primi giorni.
Stiamo scendendo di quota e tornano le palme, i banani, i bambù, le grandi stelle di natale e, solo a detta della guida, le scimmiette entello.
PICCOLA PARENTESI SUL CANE HIMALAYANO
Il quadrupede miglior amico dell’uomo in linea di massima in Nepal non fa una minchia dalla mattina alla sera; passa le ore sbracato sul lastricato davanti casa tendenzialmente in mezzo alla strada e solo di rado al passare della carovana di asini solleva il suo lobo auricolare peloso. A bassa quota prevale il modello pastore a muso corto dal colore nero con le rifiniture castane.
A quote elevate prevale il modello infeltrito a pelo lungo e sporco intrecciato in grossi dread che raccolgono dal suolo ogni tipo di impurità, dalla polvere alla cacca di yak.
sabato 19 dicembre 2009
10. Nepal 2003 - diario di un viaggio - Jomson
4 Novembre - mattino
Sveglia ad un’ora imprecisata dell’alba dopo una lunga dormita; ieri dopo una mezz’ora di catalessi sul letto mi sono alzato e stavo già bene, affamato.
Siamo in attesa della colazione aspettando di vedere la new entry del Mustang bread, nuova valle, nuovi menù.
4 Novembre - pranzo
Kilometri di sentiero polveroso tra sassi e arbusti battuti dal vento. Panorama mozzafiato sulla Landa del Nulla, poi il paese sulla confluenza di due fiumi, il più grosso è il Kali Gandaki; gli yak attraversano le strade lastricate guidati dalle urla e dalle bacchettate dei pastori. Centinaia di chili di carne e pelo si muovono pesantemente fra i vicoli con le due lunghe corna ritorte che è meglio tenere d’occhio.
Mangiamo qualcosa ad un restaurant-lodge, poi comincia la marcia nella valle del Kali Gandaki. La guida accennava al fatto del vento, ma non ci immaginavamo certo queste sferzate; buona parte delle correnti del sud si incanalano dentro questo imbuto che diventa una galleria del vento. La vista spazia sulla vallata, poi sbagliamo strada, o meglio, prendiamo la variante sulla sponda est oramai completamente in disuso, sulla guida sembrava il contrario, mai fidarsi troppo. Arriviamo stanchi e rintronati dal vento a Jomson, per fortuna ci aspettano i confort di un lodge, l’Himalayan Inn, molto più occidentalizzato di quelli delle zone di Manang con tanto di tazza del bagno, lavandino, acqua calda & corrente elettrica. Fra poco si va a telefonare in Europa, a casa.
5 Novembre - colazione
Ieri sera la pizza! Bisognava provarla a mio giudizio. Nel complesso era un po’ acidina e non era una pizza, ma l’impegno del cuoco è lodevole (niente forno) con tanto di banchetto di legno massello per servire la pizza nella terrina arroventata.
Stamattina la pigrizia domina, tanto ci siamo detti – Oggi pochi kilometri! – così ci concediamo un’abbondante colazione e un giretto lungo il mercato per le strade lastricate di Jomson con il rumore dei charter che atterrano & decollano; sempre di mattina, per il vento.
Che palle questo vento. Funziona così, ci spiega il gestore del lodge di Jomson, attacca tra le 10 e le 11 del mattino, imperversa fino al tramonto, poi calmo fino al mattino seguente.
Risultato: se vuoi camminare a sud senza il vento in faccia ti devi svegliare presto. Ed è quello che faremo domani.
Ci fermiamo in un negozietto a Marpha dove una artigiana tibetana in un inglese minimale ci assicura che praticamente tutta la sua mercanzia, anelli, bracciali, borse, tappeti, vasi, soprammobili & maschere divine portano buona fortuna –good luck!-.
Dopo lunga contrattazione e lo scambio dei pantaloni cerati di Francesca ci portiamo via un sacco di cose che dovremmo fare entrare negli zaini, abbiamo anche la maschera di Gompo che da oggi sarà il nostro consigliere.
Ancora due ore controvento e arriviamo a Tuckuche dove ci lasciamo ammaliare dalla Dutch Bakery che oltre alle cibarie olandesi offre l’utilizzo di internet; peccato che sia satellitare, lentissimo e costoso. Mangiamo qualcosa, giochiamo a carte mentre fuori sembra arrivare la pioggia; poi ci spostiamo più avanti nel paese al Lotus lodge dove ci accoglie gentilmente (come sempre) una ragazza dai tratti talmente masculini da portare la sua sessualità nel limbo del mistero. E’ l’ora del bucato, si asciugherà al vento del Sud.
Nella valle del Kali Gandaki si aggiunge una nuova tipologia di visitatore alla lista stilata in precedenza.
Il veterano detto anche il nobil-borghese è un ultrapensionato che ha pensato di venire a tirare le cuoia in un altro continente. Si vede spesso seduto al tavolo del ristorante impegnato a trascrivere i suoi flussi di coscienza su un quadernello sbiadito e geroglifico. Sono poco chiare le motivazione del suo viaggio nei rilievi himalayani, certo è che il perimetro delle sue esplorazioni non supera solitamente i 100 metri dall’aeroporto di Jomson dove è atterrato. Generalmente silenzioso scambia poche parole con il suo braccio destro nepalese tuttofare che provvede a svegliarlo la mattina e a rimboccargli le coperte la sera. Di giorno se il cielo è limpido e non tira troppo vento lo si può vedere aggirarsi col suo bastone da passeggio telescopico in lega di carbonio senza apparente destinazione ma, persino se l’autonomia ambulatoria del veterano non va oltre i 20 minuti, è molto facile perderne le tracce sui lastricati del villaggio.