18 Novembre
Kathmandu 1340 m
Oggi pomeriggio l’aereo; ancora a zonzo per Thamel, senza meta; ci siamo affezionati al clima del quartiere anche con i suoi risciò da schivare e i clacson prepotenti dei centauri. Gli zaini sono pronti per l’imbarco; un ultimo cambio di rupie per le tasse doganali di uscita, poi il taxi per l’aeroporto.
19 Novembre – ore 5:00 AM
Aereoporto di Amsterdam
Sono appena uscito dal bagno. Uno specchio. La carta igienica fuoriesce da una protuberanza metallizzata e se ti chini per allacciarti le scarpe una cellula percepisce la tua assenza e decide che è giunto il momento dello scarico. Roba seria. Abbiamo cinque ore, io e Francesca ce ne stiamo svaccati su due poltroncine di gomma cremisi con i libri in mano e i due ultimi croissant della bakery di Thamel mentre l’aereoporto si risveglia.
Per i grandi corridoi illuminati passano i colletti bianchi con le ventiquattrore e i portatili e mi sento pervaso dall’orgoglio provinciale di essere uno che viene da lontano, -ok, ora passo qui nel vostro aereoporto, ma io ne ho fatta di strada, sapete?- poi mi addormento sulla poltroncina.
Anche qua ci sono croissant, pasticcini & cappuccini, ma bisogna tirare fuori gli euro; mi alzo, guardo i prezzi e mi trattengo per non pensare a quante maschere del dio Ganesh dalla testa di elefante ci avrei potuto comprare.
Mi sento già a casa.
19 Novembre
Sul treno da Bologna a Fano
Ore 14:00, mi sveglio dopo un’ora di sonno. Metto a fuoco su quello che ho intorno, questo non è l’aereo. All’incirca le stesse vibrazioni, lo stesso rumore di sottofondo, sono passate 24 ore dall’imbarco a Kathmandu.
Sopra i cieli di Bologna l’aereo è sceso sulla coltre bianca di vapore distesa sulla pianura fendendo le nuvole con le sue ali metalliche. Qualche secondo, il colore del finestrino alla mia destra attraversa tutte le gradazioni del grigio, poi sotto gli occhi compare la città.
Camion si muovono veloci su una bretella autostradale; è mezzogiorno e c’è tanta nebbia che le auto vanno avanti con i fari. Poi le gomme del carrello raschiano l’asfalto della pista. Io e Francesca ci guardiamo e scoppiamo a ridere.
Fine del viaggio. Ho passato mesi a pensare a come sarebbero potuti trascorrere i giorni sull’himalaya, quello che avrei visto, scritto, ricordato. Percepisco il possibile, probabile sopraggiungere di una lieve soffice marea nostalgica; eintanto le maschere di Bairab e Ganesh dormono incartate nei fogli di giornale nepalese; fra poco vedranno quanto è grigio a Novembre il cielo sulla fetta di terra dove li ho portati.
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